La forma, concordo con Giorgio (e con Coleman) che sia più giusto che il brano crei se stesso man mano che si sviluppi, sinceramente, se devo dividre, divido più per chorus che per sezioni, ma in generale le divisioni prestabilite corrono il rischio di creare staticità, ed io penso che il jazz abbia bisogno di tensione e di elasticità. Ciascuno poi ha il suo stile, il suo modello o qualcosa a cui anela. Personalmente i principi che cerco di applicare (derivati da grandi quali La Faro o Peac o c k) sono: - il quattro va in testa, quello che suono io è intorno al quattro, compatibilmente con quello che suonano gli altri (io prediligo i trii con piano o chitarra), posso andare in due, posso fraseggiare, accentare l'inizio delle misura 1/8 dopo, l'importante che io abbia in testa il quattro, che renda ai miei compagni di avventura l'idea di suonare in quattro, che faccia credere a chi ascolta distrattamente che il contrabbasso stia andando su un morbido quattto (ed ogni tanto ci va, come in una sorta di liberazione, ma questo è un traguardo, non un presupposto di partenza); - dal punto di vista della forma cerco di uscire dalle strutture, anche perchè se suoni un anatole o un blues la struttura ce l'hai in testa, e così i musicisti con cui suoni, rimarcare i cambi di sezione può andare bene ma alla lunga rischia di diventare un appesantimento, una banalizzazione; - armonicamente non ritengo necesario suonare tutti gli accordi che fa il piano (o meglio che indica il Real Book), possono essere sostituiti con una scale ... o con silenzi. I miei sono pensieri in libertà, nel senso che non sto molto a pensare a queste cose quando suono, sono razionalizzazioni che intervengono a posteriori, magari già domani ho cambiato idea. Ciao
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