“DIGIUNO A DUE VOCI Otranto, Fossato del Castello – 5 settembre 2001. LECTURA DANTIS – Ultima esecuzione assoluta “Vi lascio al Paganini del contrabbasso. Siete in straordinaria compagnia”. Carmelo Bene Per la prima volta Carmelo Bene ospita al suo ininterrotto digiuno dell’io (e non solo) un artista cedendogli completamente il palco. Convitato è il Maestro Fernando Grillo. È nella muta sera di Otranto che avviene quel passaggio d’assoluto “da un dentro a un altro dentro” come amava dire Bene. Scolpita nella notte rappresa la potenza di due canti in successione, quello della voce-strumento-orchestra di Carmelo e quello dello strumento-voce di Grillo. Pietroso silenzio di pubblico ad accompagnare la chiusura della serata. Silenzio che proprio perché tale ha ospitato l’indicibile, riguadagnando la totalità e restituendovi entrambi. Essi da interno a interno si sono visti e sentiti senza mediazione alcuna riconsegnando lo “spirito della musica” al suo vertice di diritto. Consanguinei nell’estrarre il sonoro dal visivo e la visione dal suono, Carmelo Bene e Fernando Grillo hanno ecceduto le potenzialità rispettivamente della voce e del contrabbasso a tutto vantaggio di un risultato antifrastico e quintessenziale. Si tratta per entrambi di sgravare il suono dai limiti della propria finitezza a beneficio di una musicalità abissale, dalla profondità immemorabile tale da rievocare quella pulsionalità primitiva, “anima mundi”, o informe gnostico – anassimandreo – che dir si voglia per approssimazione, a cui il risultato fonico da loro prodotto allude in forma residuale di alone e risonanza. Nel caso dell’ascolto-voce in Bene e del gesto-ascolto in Grillo, diviene dunque necessario trascendersi, farsi suono – come afferma lo stesso Grillo – per essere soglia tra il vivibile e l’udibile e ancora una volta avere il contrappunto inedito del silenzio della parola al servizio di una primordialità anteriore al linguaggio. Il bisogno e quindi il compito è annullarsi nell’”hic et nunc” dell’atto, disporre gli strumenti a quella “euritmia divina” impetrata di cui qualcuno ha già parlato, anziché ingrossare la sua umanizzazione più convenzionale. Come già Bene con la voce, anche Grillo ha esteso le capacità sonore del contrabbasso gestualizzando il suono e creando una grammatica propria il cui polimorfismo è dato dall’estrazione degli armonici stagliati sui bordoni e dall’utilizzo estremo della fisicità dello strumento superando i limiti del legno e delle corde. Non solo, il suono di Fernando Grillo si rende imprevedibile, non replicabile e forse non scrivibile data la sua natura informata dal gesto che ne diviene premonitore. La sua essenza vive nella istantaneità dell’esecuzione impedendo una sua possibile idea a monte. Immediatezza pura che impone l’occorrenza d’uso come condizione fondamentale ma da cui il suono viene deportato per oltrepassare la sua radice materica e il suo comune distendersi fino a renderlo cavo, smembrarlo e disaggregare i suoi elementi minimi proliferanti di miriadi di sottoarticolazioni fino, forse, all’armonia cosmica immanente, ma trascendente per l’orecchio e il soggetto esecutore, che deve disporsi come inconscio, e trascendentale rispetto all’esito musicale. Ecco il ventaglio timbrico infinito di un contrabbasso altrettanto tale. Se si vede-ascolta Bene si nota come questi aspetti appena espressi siano familiari alla sua voce e al suo modo di utilizzarla. Anch’essa è eccezionalmente ampliata e la sua curva fisiologica in perpetuo mutamento. Si può pensare al basso continuo accorpato al tratteggio vocale, alle spezzature, ai borborigmi. Egli fa della sua voce un evento dell’inconscio restituendola alla cavità orale. E’ una voce che può nascere solo da se stessa ma che non si addice alla parola, alla lingua cui è comunemente preposta. La lingua viene a crearsi nel momento stesso dell’emissione vocalizzando tutto. In Carmelo Bene come in Fernando Grillo vi è un fatto musicale in fieri che li rende entrambi “artifices” in quanto parte tattile, luogo di passaggio del fenomeno sonoro incline alla vibrazione musicale quale eco e segno del ritorno dell’originario e dell’arcaico. Un contro o extra linguaggio creato dall’insufficienza del linguaggio stesso e visibile paradossalmente grazie ad esso. Un’origine – dice Bene – che non c’è e non è mai stata poiché non è nell’ordine delle cose ma in quello dell’evento. Evento che – afferma Sergio Fava – si dà verticale e coessenziale di mondo e linguaggio, di cosmologia e semiologia. Probabilmente risolta la dicotomia esecutore-musica per mezzo del portato medianico. Rizomatico fiorire di suono-spirito.” Marcello Tacconelli
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